La trattativa con Air France-Klm si è interrotta,
il 2 aprile, con un colpo di scena da parte dell'amministratore
delegato della compagnia aerea franco-olandese che, dichiarando di non
condividere le proposte di modifica del suo piano formulate dai
sindacati, ha abbandonato il tavolo del confronto ed è
precipitosamente rientrato a Parigi. Per contro, la posizione
sindacale, che prevedeva un ruolo attivo, limitato nel tempo, di
Fintecna nel capitale e nella governance della nuova Alitalia era
stata condivisa dai responsabili dell’Alitalia e di Fintecna, che si
erano espressi favorevolmente proprio durante la sessione di
trattativa conclusasi con il brusco gesto di diniego di Spinetta.
Eravamo dunque alla conferma del diktat, all’indisponibilità a
sviluppare una trattativa di merito in cui si confrontano proposte e
controproposte, fino alla mediazione finale, di comune soddisfazione.
Come se il manager francese si fosse trovato di fronte a una
situazione che non era quella su cui aveva avuto assicurazioni da
contraenti diversi e occulti. Era la riprova del fatto che al
sindacato era lasciato solo il “prendere o lasciare”, per di più in
una situazione resa incerta e confusa dal pesante gioco politico della
campagna elettorale. Invece la responsabilità dell’impasse è stata
prontamente riversata su di noi, come risulta dalle dichiarazioni di
importanti esponenti della maggioranza, in primo luogo del presidente
del Consiglio, con uno scaricabarile che cercava nel sindacato il
capro espiatorio dell’incresciosa vicenda, avviata male e condotta
peggio negli ultimi anni di vita della compagnia di bandiera proprio
dai responsabili della politica economica del governo.
Da quel momento è cominciato un gioco al massacro, specie da parte
delle maggiori testate giornalistiche e di commentatori più o meno in
buona fede che hanno allargato il tiro, tentando di trasformare la
vertenza in un capo d’accusa verso le confederazioni, incapaci di
evitare la propria Caporetto. Ma le cose non stanno così. Le nostre
perplessità partono da lontano e non riguardano l’ultimo atto, cioè
l’offerta di acquisizione di Alitalia da parte di Air France-Klm.
Senza diritto di parola, senza cioè uno straccio di confronto,
continuamente richiesto e mai ottenuto, noi non abbiamo condiviso gli
ultimi tre anni. A partire da quando il governo ha continuato, a
nostro avviso immotivatamente, a sostenere la gestione di Cimoli,
iniziata nel 2004 all’insegna di un piano industriale che doveva
essere di risanamento e che, invece, malgrado gli efficientamenti che
furono realizzati con il nostro concorso – gestimmo all’epoca circa
4.000 esuberi – comportò il rapido ulteriore aggravamento delle
condizio-ni dell'impresa.
Già allora Alitalia perdeva un milione di euro al giorno, a
dimostrazione del fatto che i suoi problemi derivavano non dai costi
bensì da incapacità reddituale e che la gestione accentuava, piuttosto
che aggredire, le disfunzioni organizzative. Successivamente, la
scelta della gara internazionale ci è apparsa, fin dal primo momento,
come un modo disinvolto di disfarsi di scelte che invece avrebbero
dovuto essere di squisita competenza governativa. Un finto ricorso al
mercato per aggirare le difficoltà politiche nella maggioranza, in cui
si misuravano opzioni molto diverse tra di loro.
Un altro anno di distruzione di risorse. Infine la trattativa in
esclusiva con Air France-Klm, la due diligence che va avanti dalla
fine dello scorso anno, per arrivare all’ultimatum “prendere o
lasciare entro il 31 marzo”, pena il fallimento della compagnia. Anche
in tale frangente, pur continuando a insistere sulla necessità di
conoscere gli accordi politici intercorsi con i franco-olandesi, che,
data la rilevanza dell’infrastruttura, fondamentale per l’industria
del trasporto aereo in Italia, ritenevamo non essere di esclusiva
competenza del board della compagnia di bandiera, la nostra posizione
non è stata quella di respingere il confronto, ma semplicemente quella
di chiedere il tempo necessario a sviluppare una trattativa di merito,
riproponendo le nostre priorità: investimenti nella flotta più
ravvicinati di quelli previsti dal progetto di Air France-Klm, con
particolare riferimento al lungo raggio; gradualità nella riduzione
dell’attività su Malpensa; integrità del perimetro aziendale, con la
disponibilità ad affrontare la riorganizzazione necessaria.
Da qui a essere rappresentati come i carnefici dell’Alitalia passa una
distanza abissale. E caricaturali, se non fossero soprattutto
preoccupanti, risultano le analisi sui ritardi e le incongruenze del
sindacato profuse a piene mani in questi giorni. Ma su tutto ciò
occorrerà una riflessione più ampia che esula da questo articolo.
Piuttosto occorre evidenziare l’esigenza di un chiaro indirizzo nella
politica economica e industriale del paese, che, anche nella vicenda
Alitalia fatica a emergere. Come finirà?
Mentre scriviamo è ancora in forse la riapertura del confronto con Air
France il cui consiglio di amministrazione ha confermato rigidamente
le sue posizioni. Continuiamo a puntare su un accordo che, al netto
delle turbative della campagna elettorale, non solo è possibile ma
anche relativamente semplice. Il nostro obiettivo resta il
mantenimento della speranza di sopravvivenza di un’industria del
trasporto aereo in Italia, anche all’interno di un’alleanza
internazionale, senza la quale siamo i primi a ritenere che non sia
possibile garantire la continuità dell’Alitalia. Con questo intento
affronteremo i prossimi impegnativi giorni, a partire dal confronto in
azienda e all’incontro già previsto con il governo. Se ciascuno farà
la sua parte con onestà intellettuale, non ci sarà bisogno di portare
i libri in tribunale. |