L’Italia non riprenderà la via della crescita
economica e sociale se il Mezzogiorno continuerà a permanere nelle
condizioni attuali. La denuncia sullo stato in cui versano i territori
del Sud e sulla relativa necessità di riportare al centro del
dibattito e delle politiche nazionali la “questione meridionale”
arriva con una sola voce da Confindustria, Cgil, Cisl e Uil. Le forze
sociali ed esponenti del mondo politico vicino alle istanze del
mezzogiorno si sono confrontati oggi, sulla base di un documento di
analisi e proposte a firma sindacati e associazione degli
imprenditori, sull’esigenza di riporre il Sud nell’agenda politica del
paese. Bisogna rimettere al centro la questione meridionale perchè lo
stato in cui versa oggi il Sud è caratterizzato, recita il documento,
“da una preoccupante fase di rallentamento economico e di disagio
sociale riassumibile nell’ampliamento dei divari con il Centro Nord,
nella ripresa dell’emigrazione ed in una sostanziale stasi di
investimenti ed occupazione”. In un momento di indebolimento stesso
della classe politica, contro altare del ritrovato protagonismo delle
forze sociali nel contrasto a fenomeni di criminalità organizzata,
emergono quelli che le parti sociali definiscono “nodi non aggirabili”
della crisi meridionale: legalità, sviluppo, funzionamento delle
istituzioni, inclusione sociale. Nodi che necessitano di “una azione
organica e programmata” e di una definizione “dell’assetto di governo
più adeguato per il perseguimento dell’obiettivo dello sviluppo
economico e sociale”. Le risorse per strutturare un’azione incisiva e
radicale ci sono: “per la prima volta - si legge nel documento -, nel
periodo 2007-13 le risorse comunitarie e quelle nazionali Fondo Aree
Sottoutilizzate sono pari nel complesso a 100 miliardi di euro”.
Sono cinque le linee di intervento individuate dai sindacati e dalla
Confindustria: promozione degli investimenti e fiscalità compensativa;
società della conoscenza; sicurezza e legalità nel mezzogiorno; le
infrastrutture; il turismo e la qualificazione dei centri urbani. Il
coordinatore del dipartimento del Mezzogiorno della Cgil, Franco
Garufi, nel corso del suo intervento ha sottolineato la necessità di
ripensare la governance, “dobbiamo ripensare - ha detto - il modello
di relazione tra i vari livelli istituzionali”, ma allo stesso tempo
“l’operazione che dobbiamo fare è guardare allo stato dell’arte
evitando di buttare via il bambino con l’acqua sporca”. Così come
emerso dal dibattito, inoltre, Garufi ha sostenuto che “il ministero
del Mezzogiorno non serve ma bisogna mantenere un filo diretto tra chi
detiene le risorse e chi le programma”. Quanto alle risorse ancora da
spendere dalla passata programmazione 2000/06 il responsabile del
mezzogiorno della Cgil ha proposto che “otto dei quindici miliardi
vengano impegnati in un grande progetto infrastrutturale che riguarda
le ferrovie: la Napoli-Bari; la Salerno-Reggio Calabria; la
Messina-Catania-Palermo”. In un Mezzogiorno che in questi anni ha
visto emergere diverse articolazioni e differenze territoriali bisogna
partire dagli elementi unificanti: “Primo la questione del lavoro - ha
osservato Garufi - che riguarda soprattutto donne, giovani e la piaga
degli over 50, secondo quella della bassa innovazione e ricerca e,
infine, il tema della necessità di garantire al mezzogiorno uno
sviluppo autonomo e indipendente capace di essere autopropulsivo'. Ma
il pericolo, ha concluso, 'è che il dibattito sul Sud sia di solo
principio senza che ci si fermi sulle questioni concrete”. |